Ho atteso per una intera vita la vecchiaia, nella convinzione ciceroniana di essere solo allora, a quello stadio della vita, veramente libero dalle cure e preoccupazioni che sempre ci assillano finché dobbiamo far fronte alle responsabilità familiari, agli obblighi di lavoro, ai conseguenti impegni sociali, senza dire della tirannia esercitata su di noi dagli istinti naturali.
Mi trovo ora a Luco, nello scorcio della mia vita, in una casa comoda, con risorse finanziarie sufficienti per una vita scevra da preoccupazioni, avendo accanto una moglie brava ed efficiente, godendo discrete condizioni di salute (la quale ha tutto da guadagnare da un tranquillo sistema di vita). Posso perfino annoiarmi.
Mi sto costruendo una vecchiaia su misura, per la cui riuscita occorre, appunto, soprattutto una buona salute. Questa risente ovviamente dell’età; ma riesco perfino a realizzare qualche miglioramento dal momento che, a pochi mesi dal trasferimento a Luco, ho smesso finalmente di fumare, di colpo, senza nessuna difficoltà dopo tanti inutili tentativi pregressi. Un ciclo di agopuntura mi ha liberato, a quanto pare, dai ricorrenti attacchi di sciatica. Un trattamento di pranoterapia mi ha sistemato la “cervicale”. Più tardi, una lunga serie di applicazioni radiologiche sembra aver ridotto entro limiti accettabili un carcinoma della prostata. Immediatamente prima del trasferimento a Luco, avevo risolto chirurgicamente un problema di emorroidi. Il tutto, seguendo le imperiose ingiunzioni di Maria Rosa e con le amorevoli e illuminate premure di Giorgio e di altri amici.
La mia vita da pensionato non ha più assilli e si riorganizza su ritmi abbastanza tranquilli, che riescono ad impegnare in vari modi l’intera giornata. Presto mi renderò conto che dispongo di assai poco tempo per assaporare la noia, che a volte ho visto come un miraggio, ma che naturalmente ho anche paventato. E’ incredibile come una quantità di impegni minuti di carattere pratico, mai considerarti prima, possano riempire gran parte della giornata limitando drasticamente la disponibilità di tempo da dedicare alle attività gradevoli sempre sognate. Piccole faccende domestiche e acquisto e lettura dei giornali si prendono da sole quasi tutta la mattinata. Mi arriveranno presto caterve di cataloghi di librerie antiquarie, alla cui minuziosa lettura non potrei rinunciare e che assorbono ore e ore specialmente in certi periodi dell’anno in cui questi arrivi si concentrano. Io collaboro giornalmente nel ménage con compiti ormai riservati a me in esclusiva, come la preparazione della tavola, la gestione delle bevande, l’acquisto della frutta, la preparazione (pulitura ed eventuale cottura e condimento) degli ortaggi, la gestione del caminetto. Sono io a preparare la prima colazione al mattino. Sono io ad occuparmi delle operazioni di pagamento di ogni genere, dalle diverse bollette per i consumi domestici, alle tasse varie, agli oboli richiesti dalle innumeri organizzazioni benefiche. E’ incredibile la quantità di carte che affluiscono giornalmente da ogni parte e che periodicamente vanno eliminate o sistemate in un archivio che cresce a vista d’occhio.
Per la spesa casalinga giornaliera abbiamo a disposizione una decina di supermercati e discount, tra Luco e Avezzano, facilmente raggiungibili in macchina e dotati di vasti parcheggi. La spesa assorbe un’oretta di molte mattine; è il nostro modo più consueto di mettere il naso fuori casa.
Questa casa luchese ha realizzato i sogni miei e di Maria Rosa. Essa ci dà ogni giorno la sensazione di renderci la vita comoda e piacevole, perché risponde a tutti i nostri bisogni e desideri. Ognuno di noi due può organizzarvi e condurvi la sua propria vita a piacimento. Sappiamo bene che essa è la nostra casa definitiva e che in essa sono raccolte tutte le cose che ci interessano. Essa può accogliere i figli quando vengono a trovarci, essa ha ospitato qualche amico. Da essa siamo in contatto con un vasto mondo attraverso l’antenna televisiva satellitare e attraverso il sistema Internet. Io sono divenuto più che mai casalingo.
Maria Rosa è invece più aperta all’esterno. Anche lei ama questa casa, di cui apprezza in particolare la varietà degli anfratti – la lavanderia a pianterreno, il sottoscala, la cantina con i recessi che intorno ad essa si aprono e che durante la guerra hanno dato ricetto a due jugoslavi ricercati dai tedeschi, la torretta, il sottotetto – facendo attrezzare anche la cantina con lavandino e cucina a gas; ma lei non intende affatto “ritirarsi” in questa casa. Lei la vede come una base di partenza per le sue sortite dedicate alla penetrazione del paese, per la conoscenza della gente, per l’immersione piena nell’ambiente d’Abruzzo.
Maria Rosa ha una influenza benefica sulla mia vita innanzitutto perché è una donna felice. Ella è pienamente soddisfatta del sistema di vita che ci stiamo costruendo e si dedica con vera gioia alla gestione della casa e soprattutto alla cucina attraverso la quale può esprimere il suo amore. E’ un poco ossessiva solo quando mi tormenta per arricchire la dotazione delle attrezzature di casa. Del resto, si accolla da sola tutti i lavori casalinghi, salvo qualche aiuto eccezionale che ha avuto per avviare la casa dopo il trasloco e, dopo anni, l’aiuto settimanale di una donna a ore. Ella è una fanatica curatrice della propria salute e sta perfettamente in forma nonostante l’avanzare inesorabile degli anni anche per lei. Costituisce un caso eccezionale, dal momento che non ha ancora un capello bianco e possiede ancora tutti i suoi denti. Pratica nuoto ed altri esercizi fisici con serietà e applicazione. Per le condizioni fisiche e per il livello intellettuale di questa moglie io sono generalmente assai invidiato. Magari qualcuno la guarda con qualche sospetto quando si accorge che lei è una delle primissime e ancora pochissime donne della Marsica a navigare in internet: una specie di mostro.
La libertà e la disponibilità di spazio mi consentono finalmente di dedicarmi al mio hobby più naturale, che non avevo mai potuto coltivare finora: la mia biblioteca, che è la mia compagna di tutti i giorni. Una ricerca sistematica condotta in particolare presso le librerie antiquarie mi permette di raccogliere una discreta letteratura locale riguardante l’Abruzzo e specialmente la Marsica. Mi attrae altresì il Regno di Napoli e la sua storia. Con qualche sforzo finanziario aggiorno e completo l’Enciclopedia Treccani. E naturalmente mi procuro una scelta delle opere più importanti delle varie letterature (anche con il riacquisto di una quantità di libri già posseduti e in vari modi dispersi), oltre a manuali vari di consultazione. Riuscirò finalmente a leggere con calma opere voluminose, come la Recherche proustiana o come gli otto volumi delle Notizie del bello dell’antico e del curioso della Città di Napoli del Celano nell’aggiornamento ottocentesco del Chiarini.
Maria Rosa è naturalmente portata alla socializzazione e ben gradita a tutte le persone che frequenta. E’ così che lei segue con molto interesse la vita della comunità e si aggiorna su tutto. E’ molto ricercata perché ha portato con il suo carattere, la sua cultura, la sua esperienza e la sua vivace conversazione un’aria nuova nell’ambiente femminile. Insomma, io mi sono ritirato a Luco per vivere finalmente in un angolo tranquillo i miei ultimi anni e invece sarà Maria Rosa a trovare qui l’habitat ideale per le sue curiosità e il suo attivismo.
Per me la presa di contatto con l’ambiente avviene specialmente attraverso alcune istituzioni che mi mettono automaticamente in rapporto con alcuni gruppi sociali del paese e della Marsica. La gente è impegnata in una ventina di associazioni di volontariato, ognuna delle quali svolge qualche attività socialmente utile senza costare alla comunità che qualche modico contributo pubblico.
Ho ritrovato la Società Operaia di Mutuo Soccorso – cui erano appartenuti mio nonno Alfonso dalla fondazione e mio padre per alcuni decenni con responsabilità di consigliere – la quale accetta subito la mia domanda di iscrizione. La Società mi offre la conoscenza di una parte importante della collettività. Questa istituzione centenaria ha oltre duecento soci che ben rappresentano la parte vitale della popolazione. Il nuovo presidente Biagio Venditti ha dato un rinnovato impulso al sodalizio, che svolge un ruolo di qualche rilievo nella comunità luchese, grazie all’opera di volontariato dei componenti degli organi direttivi. Mi trovo presto coinvolto nel sodalizio attraverso una non sollecitata elezione a membro del Consiglio direttivo; qui seguo le accese discussioni attraverso le quali si realizzano le attività sociali, come la festa annuale, le gite culturali, le cerimonie di premiazione degli studenti più meritevoli e dei neolaureati, il Carnevale Marsicano e soprattutto il recupero della sede sociale, concessa tanti anni fa a un esercente cinematografico e ormai non più utilizzata per la crisi del cinema; l’edificio sarà assai bene restaurato; nel frattempo mi toccherà ospitare provvisoriamente il sodalizio a casa mia nei locali già occupati dall’Ufficio Postale. Le cerimonie per la celebrazione del Centenario della Società, formalmente costituita nel 1901, mi impegneranno in particolare per la pubblicazione di un opuscolo commemorativo, con un mio contributo sulla cronaca dell’ultimo cinquantennio.
Fra le prime conoscenze che faccio a Luco tra le generazioni per me nuove, c’è il prof. Giuseppe Grossi, che mi dice essere figlio dello scardalano: è un archeologo nato, che una grande passione e una perizia innata hanno portato in pochissimi anni ad accumulare una non comune esperienza. Egli conosce, per averli battuti con i suoi scarponi, i siti delle montagne di mezzo Abruzzo ove un cumulo di pietre apparentemente insignificante testimonia una presenza del lontano passato; egli è particolarmente dotato per effettuare le rilevazioni grafiche; lo scavo continuo dei giacimenti di dati archeologici e il confronto degli elementi raccolti lo hanno portato a poter elaborare una quantità di ipotesi innovative, nella ricostruzione documentata della storia locale, nonché in tema di toponomastica antica e medievale, attraverso una ormai abbondante letteratura, che lo hanno imposto come Direttore Tecnico della Sezione Marsicana dell’associazione Archeoclub. Egli mi porta nell’associazione, di cui seguirò d’ora in poi tutte le attività (riunioni periodiche con conferenze di esperti, sopraluoghi guidati alle nuove scoperte archeologiche e ai più importanti monumenti, viaggi organizzati in Italia e all’estero, convegni di prestigio aventi lo scopo di fare il punto sulle nuove conoscenze acquisite, presentazioni di nuove pubblicazioni, ecc.). Presidente fondatore della Sezione è l’avv. Walter Cianciusi di Collelongo, uomo di vasta cultura; presidente attuale è l’avv. Umberto Irti, appassionato ricercatore anche lui; ambedue hanno collaborato con Giuseppe Grossi in ricerche sul campo in questa Marsica che si sta rivelando sempre più ricca di testimonianze del passato.
Ad Avezzano opera una Università della Terza Età, sotto l’impulso instancabile della prof.ssa Irma Bianchi (di famiglia luchese). L’organismo raccoglie persone anziane in massima parte ex insegnanti o professionisti in disarmo. Vi sono accolto con molta cortesia e, con Maria Rosa, stabiliamo simpatici rapporti con l’ambiente avezzanese, a me quasi sconosciuto sebbene ad esso io sia legato dalle mie origini. Assisteremo a periodiche conferenze su disparati argomenti e soprattutto prenderemo parte a diversi viaggi culturali assai bene organizzati, utili occasioni per socializzare e per stabilire e alimentare amicizie. Nell’ambiente, tutti hanno conosciuto il professore Guerrino Proia; molte signore sono tuttora clienti di Olimpia, sua sorella, che ha una apprezzata boutique; sono quindi facilmente identificato come “il cugino”, tanto per cominciare.
Capita correntemente di leggere sulla stampa locale avvisi di conferenze o dibattiti o manifestazioni ad Avezzano o in altri centri vicini, cui difficilmente riesco ad intervenire a meno che si tratti di temi di speciale interesse per me.
Non sfuggo invece alle varie feste che, specialmente nella stagione invernale, organizzano le varie associazioni: cene con musica e ballo, che servono per raccogliere fondi e che noi vorremmo utilizzare anche per socializzare con i luchesi; ma le orchestrine con rumorosissimi altoparlanti in queste pur ampie sale non consentono la conversazione se non a sprazzi.
Dovrò anche abituarmi a un passatempo abbastanza nuovo per me: il gioco delle carte, al quale io non sono veramente portato per inclinazione naturale, ma che debbo praticare per fare compagnia a qualche amico. Si tratta di una occupazione indispensabile per la grande maggioranza degli uomini di una certa età: li si vede ai tavoli dei caffè, che impegnano la loro reputazione davanti a crocchi di persone le quali in silenzio seguono e poi commenteranno l’andamento della partita. Non sono tornei di bridge o di pinnacolo o simili, ma gli antichi giochi popolari della scopa, della briscola e del tresette. Sono giochi di abilità in cui occorre una gran dose di speciale memoria, che io non ho. Ma mi pare strano poi che, in giochi di abilità, ci si senta in qualche modo fieri di essere stati favoriti dalla fortuna nella distribuzione delle carte, come se il gioco consistesse anche in una puntata al lotto. Io debbo prestarmi quando qualche amico, specialmente d’estate, a ora fissa si presenta a casa mia per metterci a tavolino; per sottrarmi a queste corvées debbo avere solide inoppugnabili giustificazioni. Durante l’estate debbo anche prestarmi ogni sera, dopo cena, a completare un quartetto – due amici contro due amiche – per lo scopone scientifico, sapendo bene che in caso di mia assenza essi dovranno comunque trovare soluzioni di ripiego. In queste partite capita non di rado che ci si accapigli in discussioni anche velenose; ho capito che io sono desiderato perché in genere contribuisco a svelenire l’atmosfera tenendo banco con una mia conversazione scherzosa. Maria Rosa è indenne in questo campo perché ha saputo per tutta la vita evitare il gioco delle carte.
Una delle occupazioni correnti è ovviamente la passeggiata e qualche volta la salita alla cappellina della Cunicella, sul monte. Il passeggio con l’amico che viene d’estate da Firenze avviene su e giù per la piazza principale incrociando gli altri numerosi peripatetici e rievocando fatti e persone del passato. Il vagabondaggio si esercita anche per le varie strade del paese, con preferenza per la via di S.Maria, che arriva al cimitero comunale attraverso una lunga strada panoramica che offre sole e aria.
D’altra parte, abbiamo quattro figli a Roma e press’a poco una volta alla settimana ci rechiamo nella capitale per vederli o per far fronte a qualche loro esigenza particolare: di solito ci diamo appuntamento al Circolo Magistrati della Corte dei Conti, al quale sono iscritto da anni, dove possiamo fare colazione a una comoda tavola calda o qualche volta cenare in pompa magna alla sala ristorante. Il richiamo di Roma è divenuto naturalmente più forte da quando Monica nel 2001 ci ha regalato il nipotino Marcello e Cristina nel 2003 la nipotina Livia, i quali nipotini vengono qualche volta a passare dei giorni di vacanza a Luco, rimanendovi anche soli con i nonni (specialmente Marcello che a Luco si sente come a casa sua).
La disponibilità della nuova casa e del nostro tempo permette di introdurre nella nostra vita una novità assolutamente imprevedibile, che inciderà sensibilmente nei nostri anni terminali.
A fine primavera del 1994 un comitato informale di luchesi ci chiede se per caso non siamo disposti ad accogliere in casa per poche settimane uno dei bimbi di un gruppo proveniente dalla Ucraina, bimbi colpiti dalla nube sprigionatasi nel disastro della centrale nucleare di Cernobyl dell’aprile 1986; sono bambini a rischio che debbono essere decontaminati per quanto possibile attraverso un sia pur temporaneo cambiamento radicale di ambiente fisico. Va da sé che ci dichiariamo pienamente disponibili. Vogliono sapere se abbiamo delle preferenze di età o di sesso: ci rimettiamo completamente agli organizzatori.
Maria Rosa ed io ne abbiamo naturalmente parlato un po’ tra noi. Sono io che faccio qualche osservazione ritenendo che, sicuramente, l’accoglienza di questo bambino o bambina non si esaurirà al termine del soggiorno di qualche settimana e quindi dobbiamo guardare la cosa ad occhi ben aperti sulle possibili implicazioni. Maria Rosa, ben determinata, travolge ogni dubbio.
Il gruppo in arrivo, piuttosto numeroso, sarà distribuito fra vari paesi che circondano il Fucino: a Luco ne vengono destinati trentotto oltre ad una ragazza interprete.
Siamo molto emozionati quando, una sera, tutte le famiglie ci troviamo nel cortile dell’Istituto delle Suore Trinitarie ad attendere il pullman, che arriva per ultimo a Luco dopo aver lasciato diversi bambini negli altri paesi del Fucino. Guardiamo con trepida curiosità le faccine visibili attraverso i finestrini: la maggior parte sono bambine, assai belline. A noi viene consegnato un maschietto, minuto, biondino, piccolino, vestito di camiciola e calzoncini e con un paio di scarpette di pezza. Ha undici anni, ma ne dimostra senz’altro di meno. E’ sereno, si consegna a noi tranquillamente. Lo prendo per mano e ci avviamo verso la macchina per andare a casa. A guardarlo meglio, ha fattezze fini e uno sguardo intelligente. Ma come parlare con lui? Parla molto correttamente l’inglese e quindi Maria Rosa può subito avviare un minimo di colloquio.
Si chiama Artëm Aleynikov; suo padre Serghei è ingegnere aeronautico, sua madre Irina è fisioterapista. In casa vivono anche il nonno Boris, pilota aeronautico a riposo, e la nonna Tamara, anche lei già fisioterapista. Artëm è nato il 22 agosto 1983 a Bihov in Bielorussia, dove il padre allora lavorava, e quindi si è trovato a subire in pieno il passaggio della nube nucleare che da Cernobyl, al confine dell’Ucraina, si è diretta subito verso il nord e cioè sulla Bielorussia. Ora la famiglia abita a Kiev, donde sono originari i nonni materni.
Maria Rosa osserva subito che i genitori del bambino devono amarlo molto se hanno trovato il coraggio, per la sua salute, di allontanarlo da sé e affidarlo ad estranei lontani e del tutto sconosciuti.
Il giorno dopo l’arrivo dei bimbi, veniamo pregati di ospitare in casa nostra anche l’interprete ucraina venuta col gruppo, Diana, una studentessa ventenne che studia l’italiano; a noi fa comodo e quindi la ospitiamo volentieri, nella stessa camera destinata ad Artëm. Avranno qualche volta da disputare fra loro perché la povera Diana non è molto simpatica al ragazzino.
Il nostro bambino si scatena quando si trova a giocare con gli altri bambini ucraini, con alcuni dei quali passa gran parte del suo tempo (e ciò non lo aiuta ad imparare un po’ di italiano), ma quando è solo con noi è educatissimo. Lega poco con le bambine del gruppo: qualcuna di esse lo circuisce insistentemente, ma invano.
Nel paese, la presenza di trentotto bambini ucraini anima vivacemente la piazza centrale, a sera, quando essi, dopo la giornata passata con assai scarsa comunicabilità presso le famiglie ospitanti, si ritrovano insieme. E le trentotto famiglie, nessuna esclusa, si affezionano anche troppo a questi piccoli esseri indifesi colmandoli di attenzioni e doni che non hanno mai accordato ai propri figli.
Al termine del soggiorno, mezzo paese andrà a Fiumicino ad accompagnare il loro pullman e il loro bagaglio pieno di cose destinate anche alle rispettive famiglie.
A partire dall’anno successivo, il numero dei ragazzi andrà rapidamente scemando. Le famiglie ospitanti si sono trovate con molti problemi inizialmente imprevisti: in genere, si tratta di agricoltori che proprio nei mesi estivi sono pesantemente impegnati e perciò non possono facilmente dedicarsi a questi bambini come vorrebbero; nascono presto delle situazioni delicate nei riguardi dei propri figli, i quali diventano facilmente gelosi del trattamento troppo più generoso riservato a questi stranieri; alcuni degli ospiti vengono subito viziati dalle troppe attenzioni ed assumono atteggiamenti inammissibili; c’è qualche famiglia che non se la sente di tenere presso di sé delle bambine assai carine che hanno modi un po’ troppo disinvolti. Insomma, in capo a tre o quattro anni il nostro Artëm sarà l’unico ragazzo ucraino a tornare regolarmente ogni estate in Italia.
Una volta rimasto isolato da altri connazionali, Artëm impara rapidamente l’italiano, anche perché frequenterà regolarmente amici italiani, affezionandosi soprattutto ad alcune ragazze alle quali si lega in simpatica amicizia e in compagnia delle quali si godrà anche qualche vacanza al mare.
Il terzo anno invitiamo in Italia anche la mamma Irina e la nonna Tamara per una decina di giorni. Egli non gradisce questa novità perché la mamma è piuttosto severa nel controllarne il comportamento e nell’obbligarlo a fare esercitazioni sui libri di scuola, ma noi faremo del tutto perché le due ospiti straordinarie riportino a casa un bel ricordo dell’Italia. Ciò che le colpisce di più è la ampia disponibilità di spazio che riscontrano nella nostra casa in confronto ai pochi metri quadrati nei quali loro vivono insieme a Kiev, il ragazzo, i genitori e i nonni.
Artëm per anni ci delude con la scarsissima crescita della sua statura, finché di colpo diventa un bel ragazzone alto e robusto. Intanto, egli si è inserito in pieno nella nostra famiglia che conosce sempre più intimamente e di cui ormai si sente parte integrante. Gli faremo conoscere tanta parte dell’Italia e anche Parigi, dove si ambienterà facilmente in un soggiorno di una settimana in pieno centro.
Possiamo dirci davvero fortunati di aver avuto in sorte un ragazzo così bravo e serio e simpatico e ormai anche con un invidiabile fisico. Ben utilizzando il nostro aiuto, egli intanto ha frequentato i corsi universitari per una laurea in Scienze Bancarie.
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